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Giuseppe Nogari
Giunone Giuseppe Nogari

Giuseppe Nogari

(Venezia, 1699 - 1763)

Giunone
Sposa di Giove e come tale regina degli dei e dell’Olimpo, paladina dell’amore coniugale e custode del matrimonio, protettrice della fecondità muliebre e spesso invocata dalle partorienti: ecco Giunone, prediletta da molti artisti e qui celebrata da Giuseppe Nogari, grande pennello di Venezia, noto per le composizioni sacre e profane, ma soprattutto per le sue “mezze figure di invenzione”. Specializzato in ritratti a mezzo busto e a figura intera con soggetti di natura religiosa, storica o mitologica, dipinti a tinte tenui su fondo scuro, seppe abilmente coniugare la predominante matrice culturale veneziana alla maniera olandese di stampo rembrandtiano.
Moglie continuamente impegnata a punire le rivali, Giunone è estremamente gelosa del fedifrago marito, che la tradisce sistematicamente con bellissime mortali o dee ammaliatrici.
L’incantevole e giovanissima donna dalle morbide e procaci forme, che nulla ha da invidiare alle nemiche, è smascherata dallo scettro e dalla corona d’oro illuminata dai rubini incastonati, simboli della sua regalità. Spezzano il bianco immacolato della carne i colori caldi e brillanti della veste e del manto, riflesso del vigore cromatico della corona. La cintola bordata in oro è un dono della dea Venere, espediente per sedurre Giove e dissuaderlo dalle tentazioni.
Musa ispiratrice dell’artista è la letteratura latina: l’occhio che la fanciulla tiene nella mano destra allude alla metamorfosi narrata da Ovidio (Ovidio, Metamorfosi I, 588 e sgg.). Giove, infatuatosi della ninfa Io e deciso a possederla, si illuse di non incorrere nella furia vendicativa della sua sposa e per celarle l’adulterio tramutò l’amante in una bianca giovenca. Giunone, fiutato l’inganno, chiese in dono la giovenca, incatenandola e affidandola al guardiano Argo, il cane dai cento occhi.
A trarre in salvo l’infelice Io giunse Mercurio, fidato messaggero di Giove: il giovane dio, trasformatosi in un pastore, addormentò con un canto il feroce animale e, avvalendosi del suo torpore, lo decapitò. La dea, dispiaciuta per la perdita del suo cane, ne raccolse gli occhi per adornare la coda del pavone, animale a lei sacro, rappresentato alla sua sinistra.
Ritratto di coinvolgente bellezza, carico di ammaliante e dolce espressività, da quasi tre secoli scaglia lo sguardo attento e penetrante ai suoi spettatori. L’intensità emotiva ed espressiva, l’atteggiamento languido e la morbidezza riservata ai contorni rievocano il modus pingendi di Jacopo Amigoni. L’ipotesi trova conferma dal fatto che Amigoni, rientrato dall’Inghilterra nel 1739, rimase a Venezia fino al 1747 quando si trasferì nella capitale spagnola. Ed è agli anni Cinquanta, nell’ultimo tempo del Nogari, che è databile il dipinto Giunone, gremito di valenze lessicali e analogie con l’Allegoria dell’Innocenza della Pinacoteca dei Concordi di Rovigo e l’Allegoria della Musica, già in collezione Rovelli.
Allievo di Antonio Balestra, Giuseppe Nogari, dopo il trasferimento del maestro a Verona nel 1718, soggiornò probabilmente per qualche tempo a Bologna e, rientrato in patria, iniziò un’attività indipendente poco prima del 1726, quando comparve nel registro della Fraglia dei pittori veneziani. Alla fine degli anni Trenta, su invito del protettore marchese Ottavio Casnedi, si recò a Milano, passando poi a Torino nel 1740, al servizio di Carlo Emanuele III di Savoia, per affrescare il soffitto del Gabinetto degli Specchi del Palazzo Reale.
Rientrato a Venezia nel 1743, ottenne un grande successo presso gli illustri committenti locali innamorati degli alti esiti raggiunti e, sul mercato europeo, con le realistiche mezze figure, in omaggio ad una moda particolarmente diffusa agli inizi degli anni Quaranta, cui avevano contributo anche Giambattista Piazzetta, Giambattista Tiepolo e Bartolomeo Nazari.
All’inizio del decennio 1750 – 60 dipinse per la cattedrale di Bassano del Grappa La donazione delle chiavi; nel 1756 fu uno dei membri della fondazione dell’Accademia di Venezia.

Olio su tela,
1750 circa,
cm 79 x 97

Expertise: prof. Egidio Martini

Pubblicazione:
D. Succi, Il fiore di Venezia, dipinti dal Seicento all’Ottocento in collezioni private, GFP, Pordenone, 2014, p. 95, fig. 59.

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