il ponte delle Guglie
Veduta di Venezia gondole
Veduta di Venezia, il Ponte delle Guglie, Rio di Cannaregio
Veduta di Venezia, il Ponte delle Guglie, Canale di Cannaregio

Jacopo Fabris

(Venezia, 1689 - Charlottenburg 1761)

Il Ponte delle Guglie sul rio di Cannaregio
La veduta ci porta in un luogo inconsueto per la storia del vedutismo veneziano: essa rivela il tratto più a sud del Canale di Cannaregio, il secondo più importante corso d’acqua di Venezia, che collega il Canal Grande con l’area nord-occidentale del sestiere di Cannaregio, tra le fondamenta di San Giobbe e le fondamenta di Sacca San Girolamo. Il rio è attraversato dal Ponte delle Guglie, costruito per la prima volta in legno nel 1285 con il nome di Ponte di Cannaregio. In seguito la manutenzione troppo gravosa impose nel 1580 la realizzazione di un ponte in pietra, disposta dal proto Marchesino dei Marchesini, come testimoniano le iscrizioni poste sul ponte stesso; infine la costruzione fu sottoposta ad un considerevole restauro nel 1823. Il ponte prende il nome dagli obelischi collocati alle testate, alla base dei corrimani, che lo rendono unico.
Dietro al ponte, l’ultimo palazzo sulla destra, vicino all’angolo con il Canal Grande, è Palazzo Labia, l’edificio barocco celebre per la sala da ballo che ospita il ciclo di affreschi dedicato ad Antonio e Cleopatra di Giovanni Battista Tiepolo. La veduta è dominata dal campanile romanico della chiesa di San Geremia.
L’opera si deve al pennello del vedutista veneziano Jacopo Fabris. Formato, probabilmente in patria, come autore di scenografie teatrali, lavorò in gran parte dell’Europa: tra il 1719 e il 1721 fu a Karlsruhe, come pittore di corte del margravio Karl Wilhelm von Baden-Durlach, dove eseguiva decorazioni teatrali; tra il 1724 e il 1730 lo troviamo ad Amburgo, da dove pare si sia trasferito per qualche anno a Londra. Alla fine degli anni Trenta fu a Manheim, dove può aver incontrato i maestri Alessandro Galli da Bibbiena e Gianantonio Pellegrini, là attivi in quel momento.
Dal 1741 al 1746 fu sicuramente a Berlino, a servizio di Federico II di Prussia per il Teatro dell’Opera. Nel 1747 si stabilì definitivamente a Copenhagen, alla corte del nuovo re Federico V e nel 1760 completò un trattato teorico sulla prospettiva e sull’architettura, ora custodito alla Royal Library di Copenhagen. Inoltre, in vari palazzi e castelli della città e della Danimarca si trovano sue pitture murali decorative, sovrapporte, disegni e qualche dipinto.
Per ora non ci sono notizie precise sull’interruzione delle peregrinazioni europee del pittore e di un suo possibile rientro in patria, e ciò non consente una datazione precisa delle opere. In aggiunta, avendo trascorso la maggior parte della vita all’estero, si suppone che le affascinanti vedute di Venezia e i fantasiosi scorci di Roma siano in realtà quasi sempre basate su incisioni o dipinti di altri artisti, che circolavano in gran numero, tra cui Luca Carlevarijs, Michele Marieschi, Antonio Visentini e Gaspar van Wittel.
Anche per realizzare quest’opera si presume che Fabris si sia servito della fonte grafica: deriva infatti da una veduta scelta da Michele Marieschi, che destinò a quattro opere, di cui però ad oggi non perviene nessuna incisione.
Il dipinto di Fabris è analogo - soprattutto per la precisa impostazione prospettica e l’assenza sull’estrema destra del palazzo Venier già Priuli, la cui costruzione venne ultimata verso la metà del quarto decennio - alla più antica di questa serie (Il rio di Cannaregio, olio su tela, cm 55 x 84), registrata nel 1773 nella stanza da letto di re Federico II di Prussia nel palazzo di Sanssouci a Potsdam, rimossa nel 1940 per preservarla dal rischio della guerra e trasferita a Berlino, nel castello di Charlottenburg1, finché non passò in asta a Sotheby’s, New York, il 25 gennaio 2017 (lotto 44), e fu comprata da un collezionista americano.2 Il dipinto di Marieschi è datato 1736, ma non è dato conoscere la sua storia fino al 1773, perciò non è sicuro che Fabris possa averlo visto proprio a Berlino. Qui Fabris ricalca propriamente l’angolazione e si discosta dal Marieschi solo per alcuni dettagli, come le personalissime nuvole, le figure e le gondole.
Lo studio di Fabris come pittore di vedute spetta ad Antonio Morassi3, a Rodolfo Pallucchini4 e a Mosco5.
In particolare, Antonio Morassi inseguì per diversi anni le tracce di un vedutista misterioso, dal pennello molto canalettesco, raggruppando intorno alla sua personalità pittorica non poche vedute veneziane della prima metà del Settecento prive di un nome preciso e raccogliendole sotto il nome di S.C.O.F. (Seguace Canaletto Ombre Forti). Un giorno, frugando tra uno di quei fondaci provvidenziali zeppi di quadri, scovò un paesaggio di questo tipo che sulla cornice portava l’iscrizione, più tarda, Fabris. Qualche anno dopo emersero altre due vedute veneziane, una delle quali era pienamente firmata.
Attorno a questo artista si poterono quindi adunare qualche dozzina di dipinti con vedute di Venezia, esemplate sul Canaletto, oppure capricci ambientati nella città eterna, derivate da incisioni. Lo stile del pittore è infatti strettamente legato ai modi giovanili canalettiani, ma con un tratto altamente distintivo nella tavolozza, nella maniera caratteristica e originale di dipingere il cielo e nella descrizione accurata delle architetture con forti contrasti chiaroscurali.
Si tratta di un pittore prospettico, più che di un puro vedutista: lo dimostrano le architetture eseguite di maniera, schematiche e ferme come fondali o quinte teatrali, tenute prevalentemente su tonalità grigie, o stagliate nitidamente da ombre bluastre oscure. I cieli sono descritti con grandi nubi gonfie e spesso bianchissime, di vivace effetto decorativo. Le macchiette piuttosto grandi sono ripetute ugualmente, ricalcando una maniera e un colore vivace che fanno pensare al Richter, con cui forse Fabris ebbe qualche contatto.
L’opera è qualitativamente eccezionale per il suo reale senso di profondità; affascinante per la spontaneità delle figure e per i loro costumi particolareggiati, per la minuziosità con cui sono raccontate le architetture e per l’incanto che trasmettono le gondole sul rio, capaci di agguantare l’attenzione dello spettatore.

olio su tela,
cm 144 x 109

Expertise: prof. Charles Beddington

1. F. Montecuccoli, F. Pedrocco, Michele Marieschi, Bocca Editore Milano, 1999, p. 317, fig. 95;
M. Manzelli, Michele Marieschi e il suo alter ego Francesco Albotto, 2022, fig.A48.02;

2. D. Succi, Michele Marieschi. Opera completa, Ponzano Veneto, 2016, pp. 296-7, no. 108;

3. A. Morassi, Anticipazioni per il vedutista Jacopo Fabris, in Arte Veneta, XX, 1966, pp. 179 – 81;

4. R. Pallucchini, Appunti per il vedutismo veneziano del Settecento, in Museum and Artists: Studies in the History of Art and Civilization in Honor or Professor Dr Stanislaw Lorentz, Warsaw, 1969, pp. 148 – 52, figs. 8 – 10;
La pittura nel Veneto: Il Settecento, II, ed. M. Lucco et. Al., Milano, 1996, pp. 301-2, fig. 454-6;

5. M. Mosco, Minori del Settecento veneto: Jacopo Fabris, in Arte Illustrata, 1974, pp. 82 – 97.

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