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Bureau dipinto mitologico
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Bureau in legno dipinto

Il fiabesco bureau in legno intagliato e dipinto in policromia è investito da un armonioso andamento mosso che modella il fronte, ripartito in tre cassetti e in una fascia sottile, appoggio della ribalta, che cela a sua volta un interno dipinto a fondo rosso con vari cassettini. L’andatura del fronte è seguita dal compatto cornicione di base, sorretto da brevi sostegni a mensola sagomati.
Il fondo verde è intervallato da riserve mistilinee avorio ed è infestato da leggiadri decori floreali colorati, fanciulle dai lunghi capelli, putti alati e nastri svolazzanti, in un suggestivo trionfo allegorico e mitologico.
Sulla superficie della ribalta e sul fianco lineare si snoda uno dei temi mitologici preferiti della poesia bucolica dei poeti greci in Sicilia, Il Trionfo di Galatea, descritto da Omero, ma ripreso anche da Teocrito negli Idilli e rivisitato da Poliziano. La ninfa è affiancata da tre amorini in procinto di scagliare dardi amorosi, da una Nereide e da un Tritone che nuota accanto ad altre creature marine. La decorazione del bureau incarna, con questo aneddoto leggendario, il trionfo dell’amore vero sul desiderio possessivo.

Venezia, Luigi XV (prima metà del XVIII secolo)
cm 114 x 107h x 62

IL TRIONFO DI GALATEA
“Il Ciclope lo inseguiva: svelse una parte di monte e gliela scagliò contro, e per quanto solo un piccolo frammento del macigno raggiunse Aci, tuttavia lo seppellì completamente. Noi facemmo allora quell’unica cosa che i fati ci consentivano: demmo ad Aci la possibilità di assumere la natura del suo avo. Dal masso colava un sangue cupo: ma in breve tempo quel colore cominciò a svanire e a mutarsi in quello di un fiume turbato dal sopraggiungere della tempesta e poi gradualmente si schiarì ancor di più. Allora il masso che il liquido lambiva si spaccò e dalle fessure balzarono su alte fresche canne, mentre la gola della roccia era tutta un gorgogliare sonoro d’acqua. Miracolo! Ne emerse fino alla cintola un giovane, con le corna appena spuntate incoronate da canne intrecciate, ed era Aci, ma più grande e tutto azzurro nell’aspetto. Sì, era proprio Aci, mutato in un fiume che conservò il suo nome”.
Ovidio, Metamorfosi, libro XIII

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Il mito narra la storia d’amore tra Galatea, un’incantevole ninfa tra le Nereidi, figlie delle divinità marine Doride e Nereo, che abitano il profondo del mare e proteggono i marinai dall’Oceano, e Aci, un pastore giovane e bellissimo, figlio di Fauno e Simetide, Ninfa del fiume Simeto che scorre nella Sicilia orientale. Galatea, il cui nome proviene dal greco e significa “colei che ha la pelle bianca come il latte” era goffamente corteggiata dal Ciclope Polifemo. Il gigante abitava in una caverna dell’Etna, sulle cui pendici pascolava le proprie greggi, si nutriva di carne umana e disprezzava apertamente gli dei dell’Olimpo.
Una sera, al chiarore di luna, il ciclope vide i due innamorati in riva al mare e, inondato dalla gelosia, scagliò sul pastorello un grosso masso di lava, uccidendolo. Galatea pianse tutte le lacrime che aveva, commovendo Giove e gli dei, che trasformarono il sangue del povero pastorello in un piccolo fiume che ancor oggi nasce dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia proprio dove i due amanti erano soliti darsi appuntamento.

Bibliografia di riferimento:
M. Grant, J. Hazel, Dizionario della mitologia classica, Sugarco edizioni, Milano, 1986.

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